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Linee guida SICVE




LINEE GUIDA SICVE
Trattamento chirurgico dell'insufficienza venosa cronica


Trattamento chirurgico dell’insufficienza venosa superficiale

Le basi del trattamento chirurgico delle varici degli arti inferiori datano ormai quasi un secolo con gli interventi di Mayo e Babcock (12,13) e tuttavia essi non possono essere considerati desueti grazie alla conferma di decine di migliaia e più di interventi praticati e “validati” dall’esperienza comune e da studi accreditati successivi.
Sostanzialmente, tre innovazioni si sono inserite in una tecnica chirurgica standard per migliorarne i risultati:

l’evoluzione dello stripping su nuove basi anatomiche e fisiopatologiche
l’introduzione di gesti chirurgici semplificat, come la flebectomia per mini-incisioni, e lo stripping per invaginazione l
lo studio cartografico preoperatorio mediante ecocolordoppler


Va rilevata la nascita e la diffusione di una pletora di nuovi interventi talvolta limitati all’ambito dello stesso proponente: tali interventi pur assicurando spesso buoni risultati clinici necessitano di studi controllati multicentrici e non possono, allo stato attuale, essere considerati sostitutivi di tecniche standard, bensì alternativi.
L’importanza della chirurgia delle varici nei sistemi sanitari occidentali è data dalla frequenza della domanda: 70 interventi/100.000 abitanti nel Regno Unito, 200/100.000 in Finlandia, fino a numeri più elevati in Francia (oltre 150.000/anno) ed Italia [oltre 100.000/anno (dati 1997 da DRG e stima approssimativa, per difetto, della flebologia privata)]. L’indicazione chirurgica tuttavia deve essere approfonditamente discussa.
Lo stesso scopo della chirurgia, la risoluzione totale delle varici, deve essere rivisto all’interno del quadro patologico di base, l’insufficienza venosa cronica, del gravoso problema delle varici recidive a chirurgia e della comparsa di nuove varici.

Lo scopo della chirurgia delle varici è la risoluzione del momento varicoso a scopo sintomatologico, preventivo o terapeutico delle complicanze, fermo restando il carattere evolutivo della malattia varicosa.
Raccomandazione grado A, livello I a

L’elevazione dell’arto inferiore in posizione di scarico e l’elastocompressione per il controllo dell’edema, oltre alla medicazione locale in caso di complicanza ulcerativa, sono infatti i fondamenti della terapia conservativa ma non correggono il disturbo emodinamico responsabile della flebopatia. Molti progressi sono stati fatti negli ultimi decenni nella terapia chirurgica delle più severe forme di IVC specie grazie alla diagnostica non-invasiva per immagini e velocitometrica. Si possono così distinguere situazioni in cui prevale l’evento ostruttivo da quelle, primarie o secondarie, in cui il reflusso è l’elemento dominante. Dalla differente presentazione, clinica ed anatomo-patologica, dipende una strategia chirurgica oggi diversificata, non più indiscriminatamente ed estensivamente ablativa ma finalizzata, ove possibile, alla correzione dell’alterata emodinamica venosa (e microcircolatoria) dell’arto.
Le indicazioni alla chirurgia dell’IVC si basano pertanto sulla sintomatologia e sull’obiettività sicuramente correlabili alle varici o a possibili complicanze.
Gli aspetti sintomatologici e anatomo-patologici che motivano la scelta chirurgica sono:

Presentazione clinica ed aspetto estetico
Sintomatologia dolorosa
Pesantezza alle gambe
Facile affaticabilità dell’arto
Trombosi venosa superficiale
Varicorragia
Iperpigmentazione della caviglia
Lipodermatosclerosi
Atrofia bianca
Ulcerazione

La terapia delle ulcere venose si basa su un corretto approccio clinico-diagnostico oggi favorito dalla migliorata attendibilità ed accuratezza delle tecniche ultrasonografiche non-invasive in grado di fornire all’operatore quei dati morfofunzionali ed emodinamici che, a loro volta, permettono di porre indicazioni terapeutiche sempre più appropriate. Cade quindi il vecchio enunciato secondo cui l’ulcera veniva concepita come una malattia autonoma a favore del principio che la vuole epifenomeno di un processo morboso capace di determinarla: ulcera come sintomo e non come diagnosi.
Molti di questi sintomi e segni possono non essere attribuiti dal paziente all’IVC per cui è raccomandabile un’accurata e specifica anamnesi
Si tenga presente che il 50% dei pazienti con teleangectasie e varicosità soffre di parte dei disturbi menzionati che, con un’opportuna terapia, vengono eliminati nell’85% dei casi. D’altra parte secondo studi recenti l’eziologia della pesantezza alle gambe, una delle motivazioni più frequenti per la visita flebologica soprattutto nelle giovani donne, può non dipendere da uno stato varicoso né può essere considerata una sindrome pre-varicosa essendo invece il risultato dell’associazione fra flebostasi costituzionale, ipertensione venosa e lipedema. La stessa facile affaticabilità o esauribilità funzionale dell’arto appartengono al corredo sintomatologico di numerose altre affezioni, non ultime le artropatie, le neuropatie e le arteriopatie periferiche per citare le più frequenti. Similmente gli edemi declivi non sono necessariamente correlati all’IVC ponendosi in diagnosi differenziale con epifenomeni di cardiopatie congestizie, con discrasie ematiche, con dismetabolismi, ecc.. Infine possono coesistere con un quadro di IVC, o addirittura prevalere su di essa, stili di vita incongrui come l’eccesso di peso, la scarsa attività fisica, difetti posturali e l’esagerata sedentarietà, situazioni che, se corrette preventivamente, possono essere sufficienti ad evitare, se non a controindicare, l’intervento chirurgico. Recenti studi sottolineano l’ipotesi che molti sintomi possono avere una causa non venosa e la malattia venosa essere una semplice concomitanza: in questi casi deve essere considerata la scarsa efficacia dell’intervento chirurgico al fine del miglioramento della sintomatologia.
La chirurgia del sistema venoso superficiale costituisce un notevole carico di lavoro per le unità operative di chirurgia generale e vascolare ed è responsabile di liste d’attesa ancora oggi significativamente lunghe. Si ipotizza inoltre che una chirurgia venosa “inadeguata” sia responsabile di molti casi di recidiva nonostante una tecnica chirurgica esente da errori, anche se non è ancora definito che cosa si intenda per chirurgia adeguata (o appropriata) e inadeguata (o non-appropriata) .

Il paziente operato necessita di controlli nel tempo.
Raccomandazione grado A, livello I b
La terapia di collaterali, esistendo valide alternative di tipo medico o scleroterapico, non è esclusivamente chirurgica
Raccomandazione grado B, livello II a

La terapia conservativa delle ulcere venose riconosce ancora un ruolo importante in prima istanza, ma si è dimostrata inefficace nella prevenzione delle recidive a distanza se non supportata dalla correzione chirurgica del distrurbo emodinamico, la quale, a sua volta, offre buoni risultati solo in caso di insufficienza isolata del sistema venoso superficiale.
Raccomandazione grado B, livello II b

La letteratura sottolinea ancora una volta la mancanza di trials clinici randomizzati per la terapia chirurgica delle ulcere venose. Gli studi attuali, inoltre, non precisano le caratteristiche dei pazienti che non guariscono nonostante un iter terapeutico considerato il migliore realizzabile.

CHIRURGIA DELLE VARICI

Oggi, ogni intervento chirurgico per l'insufficienza venosa superficiale può essere definito a scopo emodinamico, a patto che venga preceduto da appropriata mappa emodinamica venosa mediante Eco-(Color)-Doppler .
Le tecniche chirurgiche possono essere raggruppate in quattro categorie principali:

Chirurgia ablativa
Chirurgia ablativa sintomatica
Chirurgia conservativa senza exeresi dei tronchi safenici
Trattamenti endovascolari


1) Chirurgia ablativa
Comprende gli interventi di stripping lungo della grande safena (dalla giunzione safeno-femorale al malleolo mediale), stripping corto della grande safena (dalla giunzione safeno-femorale fino al terzo superiore di gamba), stripping della piccola safena (dalla giunzione safeno-poplitea al malleolo laterale o a metà polpaccio).
L’ablazione dei tronchi safenici viene complementata in genere dalla varicectomia e dalla interruzione-legatura delle perforanti incontinenti, raggiungendo così anche una finalità emodinamica attraverso l’exeresi delle vie di reflusso.
Rappresentano le tecniche strandard del trattamento chirurgico. Sono le più studiate nel tempo e le uniche che sono state comparate alla scleroterapia ed alla crossectomia da sola od associata alla scleroterapia, ma mai alle tecniche chirurgiche alternative. Comunque nei riguardi delle prime la chirurgia ablativa si è dimostrata superiore in termini di efficacia. Per realizzare questi scopi sono state descritte varie tecniche (stripping endovenoso alla Babcock, stripping esterno alla Mayo e derivati, stripping per invaginazione secondo Van der Stricht, Ouvry, Oesch).

E’ importante fare precedere queste tecniche da un accurato studio Eco-Doppler per evitare o ridurre gli errori tecnici.
Raccomandazione grado A, livelloI b


2) Chirurgia ablativa sintomatica
Comprende modernamente la flebectomia con o senza mini-incisioni secondo Muller, sia come metodo di cura delle varici a sé stante che come complemento delle altre tecniche. Un’altra tecnica a finalità sintomatica è rappresentata dall’incisione di rami varicosi trombizzati per le loro ablazione o semplice spremitura del materiale trombotico in caso di trombosi venosa superficiale.

I pazienti vanno edotti delle finalità sintomatiche dell’intervento.
Raccomandazione grado B, livello II b


3) Chirurgia conservativa senza exeresi dei tronchi safenici

La finalità è trattare le varici mantenedo una safena drenante e non più refluente. La direzione del flusso safenico potrà essere fisiologica ( valvuloplastica esterna safeno-femorale e primo tempo della strategia CHIVA 2) oppure invertita e diretta verso la cosidetta perforante di rientro (CHIVA 1). Anche queste tecniche possono essere complementate dalla flebectomia ma per lo loro realizzazione è indispensabile farle precedere da uno studio Eco-Doppler.

Valvuloplastica esterna safeno-femorale
Il razionale di trattamento è basato sull’osservazione istologica che negli stadi iniziali le cuspidi valvolari sono ancora sane ma incontinenti per la dilatazione della parete vasale.
La finalità dell’intervento è quello di riaccostare i foglietti valvolari riducendo la dilatazione parietale. A questo scopo si possono usare o delle suture dirette della parete, o il cerchiaggio con materiali protesici esterni. E’ indispensabile la dimostrazione ecografica di cuspidi mobili e non atrofiche a livello della valvola terminale e/o subterminale della grande safena.

Correzione emodinamica tipo CHIVA 1
Si realizza quando la perforante di rientro di un sistema safenico refluente è centrata sul tronco safenico stesso. Consiste nella deconnessione safeno-femorale, nella deconnessione dalla safena di eventuali tributarie insufficienti con o senza flebectomia. La perforante di rientro potrà o meno essere trattata con legatura-sezione della safena a valle di essa (terminalizzazione).

Correzione emodinamica tipo CHIVA 2
Si realizza quando la perforante di rientro di un sistema safenico refluente è centrata su di un ramo tributario della safena. Consiste nella deconnessione raso alla parete safenica di detta tributaria /e ed nella sua/loro eventuale flebectomia.
Tale intervento può rimanere unico nell’almeno il 60% dei casi a 18 mesi. Nei rimanenti casi il trattamento va completato mediante correzione emodinamica tipo CHIVA 1 o ripetendo il tempo sopradescritto a seconda dell’evoluzione emodinamica riscontrata.
 
Crossectomia semplice / associata a flebectomia
Il primo intervento realizza documentati risultati funzionali ma è risultato inferiore allo stripping nel trattamento delle varici.
Il secondo intervento è comparabile nei risultati allo stripping solo quando è preceduto da un accurato studio preoperatorio radiologico od ultrasonoro. 


4) Trattamenti endovascolari

Comprendono:

il posizionamento sotto guida radiologica di clip tipo Van Cleef
sistemi di trattamento della parete in corrispondenza delle valvole terminali con sonde a radio frequenza o LASER per emissione di calore .

Molti interventi delle categorie 3 e 4 non sono a tutt'oggi convalidati da letteratura sufficiente per numero e livello, anche se per alcune delle tecniche della categoria III sono apparsi o sono in corso studi di 2° livello.
Raccomandazione grado C, livello IV

CHIRURGIA DELLE VENE PERFORANTI

Le vene perforanti assicurano la comunicazione attraverso l’aponeurosi muscolare, tra le vene del sistema venoso superficiale e le vene del sistema venoso profondo, sono numerose,da 80 a 140 per arto, con un diametro che non supera i due millimetri e provviste di una valvola che si localizza di norma nel tratto sotto-aponeurotico.
Affinché possa definirsi patologico un reflusso deve essere caratterizzato da:
Durata > a un secondo;
Calibro della perforante > a 2 mm;
Il rapporto tra grado di severità della IVC e perforanti incontinenti è determinato dal numero di perforanti interessate e soprattutto dalla associazione di più sistemi (superficiale/profondo/perforanti) come uno shunt veno-venoso a partenza dalle vene profonde e implicante le safene, le vene perforanti o ancora le vene di origine pelvica, o di uno shunt veno-venoso stabilitosi tra circoli superficiali. L’identificazione di perforanti di gamba incontinenti è ugualmente oggetto di controversie. Se l’ecodoppler sembra l’indagine più affidabile, la metodologia dell’esame resta controversa.
L’eliminazione delle vene perforanti incontinenti in combinazione con la bonifica delle vene varicose e del reflusso safenico nel trattamento dei pazienti con grave insufficienza venosa cronica, è un approccio terapeutico nel trattamento dei disturbi trofici della cute.

Si distinguono due modalità di trattamento chirurgico delle vene perforanti: il soprafasciale e il sottofasciale, quest’ultimo eseguibile con metodica tradizionale (Linton, Cockett, Felder, De Palma) o con tecnica endoscopica.
L’indicazione al trattamento chirurgico tradizionale ed endoscopico prevede pazienti con perforanti incontinenti di gamba e con ulcera attiva o chiusa (classe C5-C6 della CEAP) prevalentemente con sindrome post-trombotica, mentre il trattamento delle perforanti dovuto ad insufficienza superficiale viene riservato ai casi sintomatici. In alcuni studi si trova l’indicazione in pazienti sintomatici con distrofie cutanee (classe C4 della CEAP).

Metodica tradizionale
I risultati del trattamento con metodica tradizionale non si discostano tra le varie tecniche oscillando con una percentuale di recidiva ulcerosa tra il 9-16,7% con follow-up tra i 5-10 anni. La percentuale di recidiva ulcerosa nei pazienti con sindrome post-trombotica è maggiore (> 16%) con follow-up a 5 anni. Alcuni autori hanno associato a queste metodiche bypass venosi, trapianto valvolare e la tecnica endoscopica, con risultati non raffrontabili. Non sono state osservate differenze sostanziali tra le tecniche tradizionali e non esistono studi multicentrici che confrontano i vari trattamenti tra di loro, o l’associazione con altre metodiche.

Trattamento endoscopico
Il trattamento endoscopico, di recente acquisizione, prevede un mono accesso (trocar unico) ed un doppio accesso chirurgico (trocar operatore e ottico). Vi sono numerosi studi che dimostrano la comparsa di recidiva ulcerosa a 5 anni di follow-up che oscilla tra lo 0% ed il 10%.
Molti autori hanno associato il trattamento chirurgico endoscopico alla bonifica del sistema venoso superficiale incontinente, con una percentuale di recidive ulcerose simile a 5 anni di follow-up, anche se in uno studio multicentrico si osserva a due anni di follow-up una minore percentuale di recidiva ulcerosa nel secondo gruppo.
Sono ancora in atto studi multicentrici nella valutazione del trattamento endoscopico contro il trattamento tradizionale e dell’associazione col trattamento plastico dell’ulcera. I peggiori risultati si sono osservati nei pazienti con sindrome post-trombotica, a prescindere dalle metodiche utilizzate.
Per la sua minore invasività, per il ridotto numero di complicanze post-operatorie e per la possibilità di agire lontano dalla sede dell’ulcerazione sotto guida endoscopica viene attualmente preferita la tecnica endoscopica rispetto alla tradizionale.


In caso di sindrome post-trombotica il trattamento della vena perforante incontinente, sia esso effettuato con scleroterapia che con tecnica chirurgica tradizionale o endoscopica, riveste un ruolo centrale.
Raccomandazione grado B, livello II a

Nelle varici essenziali si devono distinguere il ruolo emodinamico delle vene perforanti di coscia (perforanti di Dodd e di Hunter) e della perforante di Boyd. Quando sono incontinenti esse vanno sempre interrotte. Per le restanti perforanti, soprattutto quelle di gamba, occorre tener conto dell’aspetto clinico associato all’aspetto strumentale.
Raccomandazione grado C, livello IV

CHIRURGIA DELLE VARICI RECIDIVE

Per varici recidive si intendono le varici che compaiono dopo terapia chirurgica e non le residue alla stessa.
La chirurgia delle varici degli arti inferiori è una chirurgia semplice solo in apparenza, le insidie sono in effetti numerose. La dimostrazione di tale affermazione è l’alta percentuale di recidive riportata dalla letteratura internazionale.
L’interpretazione di tali casistiche non è però sempre omogenea a causa della etereogenicità del reclutamento e del diverso percorso diagnostico terapeutico.
Le cause di recidiva più frequenti sono:

Errata strategia diagnostica ed appropriatezza terapeutica

Il risultato a lungo termine della terapia chirurgica delle varici è legato ad una corretta diagnosi. L’esatta individuazione delle cause emodinamiche delle varici permette di istruire un appropriato progetto terapeutico; così al concetto di “radicalità chirurgica”, intesa come estirpazione anatomica della safena con tutte le sue collaterali e di tutti i gozzi varicosi, che ha caratterizzato la chirurgia delle varici per quasi un secolo, si è sostituito quello di “radicalità emodinamica”, intesa come eliminazione di tutti i difetti emodinamici (reflussi) che sono alla base della formazione delle varici .
Per rendere riproducibili nel tempo tali situazioni è nata da un decennio circa la “cartografia” (C. Franceschi), una sorta di carta geografica delle varici e dei difetti circolatori venosi degli arti inferiori che ha contraddistinto non solo l’intervento CHIVA, ma anche la chirurgia cosiddetta “tradizionale”. Un uso non corretto di tali nozioni può essere la causa delle recidive.

Errori tecnici

Numerosi lavori dimostrano in modo inconfutabile l'importanza degli errori nella esecuzione degli interventi, spesso piuttosto grossolani, e non solo nelle casistiche più datate.
Haeger in uno studio autoptico, riporta 158 (15.1%) safene residue su 837 arti operati per varici.
Crane descrive il 57.0% di legature della crosse non eseguite correttamente.
Marques riporta nei casi di varici recidive rioperati il 54.5% di legatura non corretta.
Tong su 244 arti riporta 168 (68.9%)safene residue.
Tra i motivi che possono indurre in errore durante un intervento per varici degli arti inferiori, certamente il più importante è la considerevole variabilità anatomica della giunzione safeno-femorale che può portare il chirurgo a lasciare in sede alcune collaterali.


Possibilità terapeutiche:

Trattamento chirurgico: la tecnica più adeguata sembrerebbe quella con approccio laterale sottofasciale, per non incappare nelle difficoltà tecniche legate alla sclerosi cicatriziale; va riservata a quei casi in cui ci sia un moncone residuo della safena con collaterale. Dove indicate, le varicectomie per mini-incisioni alla Muller e la correzione emodinamica delle vene perforanti incontinenti.

Trattamento medico farmacologico-compressivo o terapia sclerosante, da destinare a tutti quei casi in cui non sia indicato il trattamento chirurgico od in alternativa ad esso.

Trattamento misto: combinazione dei due approcci.

Ferma restando la possibilità di recidiva delle varici quale evoluzione della malattia varicosa, al fine di porre rimedio al ripresentarsi della varicosi è necessaria una corretta diagnosi che è ben eseguibile con gli ultrasuoni (I e II livello), riservando ai casi particolari (III livello) la flebografia selettiva onde ridurre al massimo l’errore.
Raccomandazione grado C, livello IV

Trattamento chirurgico dell’insufficienza venosa profonda

Il paziente candidato alla chirurgia del sistema venoso profondo è affetto da insufficienza venosa cronica (IVC) severa, con reflusso venoso significativo ed ipertensione venosa ambulatoriale, in cui la terapia conservativa è fallita e la malattia venosa è causa di una cattiva qualità di vita. Quando il reflusso venoso profondo è lieve, lo stripping della safena può portare notevole beneficio e abolire il reflusso nella vena femorale. Al contrario, in caso di reflusso severo e veloce, è spesso necessario un trattamento chirurgico “diretto” del sistema profondo, anche considerando l’alta percentuale di recidiva dell’ulcera dopo terapia conservativa e i brillanti e duraturi risultati ottenuti dai Centri che hanno praticato questa chirurgia.
La chirurgia valvolare ricostruttiva comprende metodi diretti (che hanno lo scopo di ripristinare la continenza valvolare) e metodi indiretti (con il fine di migliorare l’emodinamica venosa degli arti).
I metodi chirurgici diretti sono applicabili quando le cuspidi valvolari sono allungate o prolassate, ma presenti e funzionali. Nella SPT o nella agenesia valvolare, nelle quali le valvole sono state danneggiate o sono assenti, la scelta terapeutica si orienta su una tecnica indiretta.
L’IVC è una patologia complessa dovuta ad un coinvolgimento multi-livellare e multi-sistema del circolo venoso. Una rapida guarigione delle ulcere da stasi può essere ottenuta dalla correzione di tutti i punti di reflusso e dal mantenimento o implementazione dei canali del ritorno venoso. Varie tecniche chirurgiche possono essere utilizzate in relazione alla patologia valvolare ed alla localizzazione ed estensione della lesione.
In una recente revisione di 423 interventi di ricostruzione valvolare, Raju riferisce il seguente ordine di durata nel tempo del successo delle metodiche chirurgiche ad un controllo Ecodoppler:

valvuloplastica interna;
valvuloplastica esterna con manicotto protesico;
valvuloplastica esterna con sutura diretta;
trapianto venoso.

Non è stata osservata nessuna differenza significativa tra le metodiche per quanto riguarda la recidiva dell’ulcera.
I tempi sono maturi per una standardizzazione dei reperti patologici, dei quadri clinici e dei parametri emodinamici per poter confrontare le differenti tecniche chirurgiche in studi prospettici randomizzati.

Non è raccomandabile l'uso comune di questi interventi chirurgici, che vanno selezionati e riservati a casi e strutture con specifiche indicazioni e competenze.
Raccomandazione grado C, livello IV


Scleroterapia

La scleroterapia consiste nella obliterazione chimica delle varici; viene iniettata una sostanza istolesiva (liquido sclerosante) che danneggia l’endotelio provocando spasmo, trombosi ed una reazione infiammatoria reattiva che nelle intenzioni del medico deve portare alla stenosi, fibrosi ed obliterazione permanente della vena.
L’obliterazione iniziale delle vene si ottiene in oltre 80% dei casi, ma successivamente una parte delle vene sclerosate si ricanalizzano.

Studi strumentali

Dagli studi con controllo Doppler o ecografico risulta che la grande safena viene obliterata nel 81%-85% dei casi , ma dopo un anno risulta ricanalizzata nel 17% e 35% dei casi , dopo due anni nel 33%, 60% e 80% , e dopo 3 anni nel 48%.
Simili risultati si sono ottenuti anche sulla piccola safena, obliterata inizialmente nel 87% dei casi , ma dopo 2 anni ricanalizzata nel 33% dei casi (90) , mentre dopo 5 anni le ricanalizzazioni sono state del 27% quando la vena poplitea era continente (varici primarie) e 77% quando anche la vena poplitea era incontinente (varici secondarie. Quest’ultimo lavoro è l’unico che ha confrontato dei sottogruppi (pazienti con e senza reflusso venoso profondo) nei quali i risultati della scleroterapia sono stati diversi.
Per quanto riguarda i rami varicosi collaterali, nell’unico studio disponibile, a due anni le ricanalizzazioni sono state di 26%.

Studi clinici

Dal 1966 al 1984 sono stati condotti quattro studi prospettici randomizzati con controllo clinico dei risultati. Questi studi hanno dimostrato che all’inizio i risultati della scleroterapia sono paragonabili a quelli dell’asportazione chirurgica, ma con il tempo le recidive della scleroterapia sono nettamente superiori.
Nello studio di Doran, dopo 2 anni i risultati della scleroterapia e la chirurgia si equivalevano.
Negli studi di Chant e Beresford, dopo 3 e 5 anni le recidive della scleroterapia erano rispettivamente 22% e 40% (rispetto a 14% e 24% della chirurgia). 
Nello studio di Hobbs, dopo 1, 5 e 10 anni le recidive della scleroterapia erano rispettivamente 8%, 57% e 90% (rispetto a 6%, 25% e 34% della chirurgia). 
Nello studio di Jacobsen, dopo 3 anni le recidive erano 63% (rispetto al 10% della chirurgia).

Studi clinici e strumentali

Nello studio di Einarsson, dopo 5 anni le recidive erano 74% (rispetto a 10% della chirurgia). In questo studio i risultati sono stati controllati anche con misurazione strumentale di parametri emodinamici (volumetria del piede), ed anche con questo criterio i risultati della chirurgia sono stati migliori.

Terapia combinata

Nel 1973-1975 tre editoriali non firmati, su British Medical Journal e Lancet, proponevano come ottimale, sia dal punto di vista dei risultati che da quello del rapporto costo/efficacia, la terapia combinata, che prevede l’interruzione chirurgica per la giunzione safenofemorale, e la scleroterapia per le rimanenti varici. Messa alla prova però, la terapia combinata è risultata più efficace della sola scleroterapia, ma pur sempre meno efficace rispetto alla rimozione chirurgica delle varici.
Questo era già stato dimostrato da Lofgren negli anni ‘50 (studio retrospettivo): a 5 anni, 70% di recidive con la terapia combinata rispetto a 30% con quella chirurgica.
Nello studio prospettico di Jacobsen le recidive a 3 anni sono state del 35% con la terapia combinata, 63% con la sola scleroterapia e 10% con la chirurgia.
Nello studio di Neglén, con la terapia combinata, alla fine del trattamento 21% dei pazienti avevano varici residue, mentre dopo 5 anni le recidive erano 84%. La volumetria del piede, normalizzata subito dopo il trattamento, deteriorava già dopo 1 anno e dopo 5 anni tornava ai valori pre-trattamento.
Nello studio di Rutgers dopo tre anni le recidive erano 61% con la legatura e scleroterapia e 39% con lo stripping e flebectomia, mentre al Doppler vi era reflusso safenico in 46% dei pazienti del primo gruppo e 15% del secondo. Questo è l’unico studio nel quale gli insuccessi clinici della scleroterapia (61%) erano più numerosi del numero di safene ricanalizzate al Doppler (46%).
Occorre tenere presente infatti che in tutti gli altri studi, la metà circa dei casi con ricanalizzazione accertata strumentalmente risultavano comunque migliorati sul piano clinico. Inoltre, gli insuccessi obiettivi della scleroterapia sono mitigati parzialmente dal fatto che la valutazione soggettiva (dei pazienti) è stata invariabilmente migliore di quella oggettiva del chirurgo.

Valutazione dell’evidenza

Nonostante si prestino ad alcune critiche, gli studi finora pubblicati, di cui 6 prospettici e randomizzati, uno retrospettivo ed uno prospettico controllato hanno dato risultati univoci senza eccezione e dimostrano perciò in modo definitivo la superiorità della asportazione chirurgica rispetto alla scleroterapia e la terapia combinata, quanto meno per le varici accompagnate da incontinenza dei tronchi safenici.

Indicazioni alla scleroterapia

La elevata percentuale di ricanalizzazioni e recidive pongono la scleroterapia in posizione subalterna e non alternativa della chirurgia. Questo significa che la scleroterapia diventa la terapia di scelta sostanzialmente nei casi dove la chirurgia è improponibile (perché difficile o di risultato incerto), oppure su richiesta specifica del paziente (che deve essere informato sui risultati, complicanze, vantaggi e svantaggi rispetto alla pratica chirurgica).
La scleroterapia è stata introdotta in Francia nel 1853, eppure i primi tentativi di elaborare “linee-guida” sono del 1996, a cura di un Consenso Internazionale, della American Academy of Dermatology e dell’American Venous Forum . Solo quest’ultimo però ha formulato in modo specifico le indicazioni alla scleroterapia, e sono le stesse proposte dal Collegio Italiano di Flebologia. Tali indicazioni comprendono:

1) teleangiectasie venose
2) varici di piccolo diametro (1-3mm)
3) vene residue dopo l’intervento chirurgico (quelle che il chirurgo ha deciso di non operare)
4) varici recidivanti dopo intervento chirurgico (se originano da una perforante di diametro <4mm)
5) varici nelle malformazioni venose (tipo Klippel-Trenaunay) per le quali non è proponibile intervento chirurgico
6) terapia d’urgenza dell’emorragia da rottura di varice
7) perforanti di diametro <4mm
8) varici attorno all’ulcera.

Come si vede da questo elenco, la scleroterapia è un metodo importante ed indispensabile per il trattamento ottimale di un ampio spettro di varici, dalle teleangiectasie (che non sono un problema solo estetico ma possono causare patologia cutanea ed emorragia grave) a quelle nelle forme gravi ed invalidanti di insufficienza venosa cronica, come la lipodermatosclerosi, l’ulcera da stasi e le malformazioni venose congenite.

Controindicazioni alla scleroterapia

Le controindicazioni alla scleroterapia comprendono l’allergia al mezzo sclerosante, malattie sistemiche gravi scompensate, trombosi venosa profonda recente, infezione locale o sistemica, edema non riducibile dell’arto inferiore, paziente immobilizzato, ischemia critica dell’arto inferiore. E’ consigliata cautela nei pazienti con anamnesi di TVP recidivante o stato accertato di trombofilia.

Tecnica

Come ogni lavoro manuale la scleroterapia richiede apprendistato. Le diverse tecniche attualmente in uso derivano dalle tre scuole classiche europee di Tournay , Sigg e Fegan , e sono descritte anche in due testi in lingua italiana pubblicati recentemente.
La concentrazione del liquido sclerosante varia a seconda del tipo di varice, ad esempio Atossisclerol 0,25%-0,5% per le teleangiectasie, 1%-2% per le varici piccole e 3% per quelle grandi; Trombovar 1% per le varici piccole-medie e 3% per quelle grandi.
Le iniezioni vengono praticate in più sedute, distanziate da pochi giorni a poche settimane una dall’altra, a seconda della tecnica personale.
Gli scopi della terapia si ottengono meglio, e con meno effetti indesiderati, se immediatamente dopo le iniezioni sulle vene iniettate e sulla gamba vengono applicate delle compressioni mediante spessori, bendaggi adesivi o mobili, o con tutori elasto-compressivi (calze). Tali compressioni sono tanto più importanti e prolungate (da 3 a 6 settimane o più), quanto più grandi e diffuse sono le varici da trattare. In alcuni casi - per esempio varici grandi, gambe con tendenza all’edema - la compressione è indispensabile.
Negli ultimi anni è stata proposta anche l’iniezione sclerosante sotto guida ecografica (“ecoscleroterapia”).


La scleroterapia è un trattamento adeguato per varici non safeniche , varici residue o recidive a chirurgia , varici inestetiche .
Non vi è evidenza scientifica per l'uso della scleroterapia alternativo alla chirurgia della vena grande safena .
Raccomandazioni grado A, livello I a

Profilassi del tromboembolismo venoso post chirurgico o scleroterapico

La compressione dopo chirurgia ha indicazione per la prevenzione del tromboembolismo venoso.
Non vi sono evidenze per un uso routinario dell'eparina come profilassi tromboembolica dopo la chirurgia dell'insufficienza venosa superficiale: questa infatti rientra nella categoria di rischio basso in cui la deambulazione precoce (pressochè immediata) e la compressione graduata sono sufficienti allo scopo .
Casi particolari potranno richiedere l'uso di eparina non frazionata (UFH) o a basso peso molecolare (LMWH) per tipologia individuale (obesità, trobofilia, pregresso trombo-embolismo venoso, specie se associati) o tipologia d'intervento (chirurgia emodinamica , valvuloplastica safeno-femorale). Non vi sono peraltro motivi per preferire LMWH a UFH per la profilassi antitrombotica perioperatoria.
La compressione dopo chirurgia venosa viene abitualmente eseguita per differenti scopi: prevenzione degli ematomi ( 2-3 giorni); cura dei fastidi post- operatori, come edema e dolore (2-4 settimane); ma anche prevenzione delle recidive varicose.
Ciascun chirurgo utilizza modalità di compressione basate sulla propria esperienza: bendaggi elastici a compressione concentrica omogenea, bendaggi fissi adesivi o coesivi (totali o parziali), con vari metodi di compressione localizzata con o senza materiali protettivi della pelle; calze elastiche utilizzate singolarmente o successivamente a precedenti tipi di compressione. La compressione ottenuta mediante bende è in genere di 20-25mmHg o superiore a 30 mmHg; mediante calze si ritiene sufficiente la classe di 15-20 mmHg usata dal X-XV giorno post -operatorio.
La compressione dopo scleroterapia risente, nella scelta del tipo, ancor maggiormente delle differenti tecniche, ma vi è consenso nel considerarla parte stessa importante della terapia.

I pazienti sottoposti a terapia flebologiche attive ( chirurgia e scleroterapia) necessitano di tutori di compressione, pur non potendo codificare la scelta del tipo.
Raccomandazione grado B, livello II a
Non vi sono evidenze per l’uso routinario dell'eparina dopo chirurgia dell'insufficienza venosa superficiale, inquadrabile nella categoria a basso rischio tromboembolico
Raccomandazione grado A, livello I b
Una profilassi selettiva per tipologia individuale o d'intervento può essere consigliabile
Raccomandazione grado C, livello IV